Nel panorama della
mastoplastica additiva, per una paziente intenzionata ad effettuare un
aumento del
seno, inevitabilmente c’è da capire qual’è la differenza tra le diverse protesi presenti nel mercato, e sopratutto perché i costi sono così variabili. Innanzitutto bisogna partire da quello che c’è dentro di esse!
Le protesi mammarie nel corso degli anni hanno visto dei cambiamenti importanti sia per quanto riguarda la loro superficie, sia per ciò che concerne il loro contenuto. Ad oggi è possibile affermare che il contenuto di una protesi del seno deve essere assolutamente inerte (non in grado di reagire con le strutture del corpo se ne viene a contatto), ma anche bio compatibile (ovvero accettato dall’organismo ricevente). Quelle maggiormente utilizzate sono riempite da silicone coeso o, in minor misura da soluzione salina.
Per quanto riguarda il silicone coeso quest’ultimo si differenzia dal silicone liquido (quello vietato ma che purtroppo ancor oggi viene infiltrato in modo clandestino creando danni enormi) in quanto non è fluido, non è in grado di diffondere tra i tessuti nel caso il suo involucro si rompesse; la soluzione salina, invece, naturalmente può diffondere, ma non da nessun tipo di problematica (se iniettiamo della soluzione salina nel nostro organismo tramite una puntura, in poco tempo viene assorbita e poi espulsa tramite il circolo linfatico e/o renale).
Per tanto è facilmente intuibile che se si rompesse una protesi a soluzione salina, dopo un incidente stradale ad esempio, avremmo lo svuotamento della stessa; ovvero l’involucro non avendo più contenuto si sgonfierebbe come un palloncino d’acqua, questo si tradurrebbe nella perdita del volume del seno, senza però problemi di salute per la paziente. Nel caso in cui, invece, fosse una protesi contenente silicone coeso a rompersi, in questo caso il silicone non diffonderebbe, perché è coeso, infatti molte pazienti con protesi rotte lo scoprono solo effettuando indagini ecografie di controllo, perché dall’esterno generalmente non c’è alcun tipo di modifica estetica.
Inevitabilmente bisogna parlare anche del fenomeno PIP, ovvero le protesi che negli anni scorsi hanno fatto tanto clamore per essere state additate come le responsabili del tumore al seno; in questo caso il problema fondamentale è stato che all’interno di esse invece di silicone coeso medicale, ci fosse del silicone industriale (il proprietario aveva “ben pensato” di risparmiare riempiendo le protesi di questo materiale non idoneo ad entrare in contatto con il nostro corpo); questo è un dato che dovrebbe far riflettere quando si parla con il chirurgo del tipo di protesi da inserire (è bene fidarsi di aziende che, seppur un po più care, abbiano un’esperienza pluriennale alle spalle; dopotutto il risparmio non è sempre guadagno, sopratutto in ambito medico chirurgico).
Nell’ambito del silicone coeso possiamo avere differenti tipi di coesività, ovvero la protesi può essere più o meno morbida. Naturalmente se chiedessimo ad una paziente quale di esse preferisce, lei risponderebbe la più morbida possibile! Ma la protesi più morbida non è sempre la migliore!
Pensiamo ad esempio ad una paziente con un seno leggermente cadente, in questo caso abbiamo bisogno di una protesi che sorregga questi tessuti della mammella che tendono a scendere, per tanto è opportuno optare per una maggiormente coesiva che mantenga la forma e sostenga i tessuti; nel caso ne usassimo una meno coesiva (più morbida) avremmo un seno più grande ma sempre sceso!
Nel caso in cui volessimo utilizzare, ad esempio, una
protesi tonda inserita in una tasca
dual plane (sottomuscolare parziale), in questo caso sappiamo che il muscolo grande pettorale schiaccia i 2/3 superiori della stessa, per tanto dobbiamo decidere se introdurre una protesi a maggior o minor coesività in base al volume che vogliamo aggiungere al polo superiore del seno: se il grado di coesività sarà basso la pressione del muscolo avrà il sopravvento e darà un effetto “anatomico” alla protesi tonda (ovvero il muscolo pettorale schiacciando il polo superiore spingerà maggior volume verso il basso, facendo assumere alla protesi l’aspetto “a goccia”); nel caso in cui inserissimo, invece, una protesi a maggior coesività, in questo caso la forma della protesi non viene modificata dalla pressione esercitata dal muscolo pettorale).
Esistono anche particolari protesi anatomiche con un doppio grado di coesività, ovvero hanno l’area del complesso areola-capezzolo riempita con silicone con un elevatissimo grado di coesività, quest’ultime sono indicate, ad esempio, quando il torace è totalmente piatto e per tanto dobbiamo dare la forma corretta al nuovo seno (queste situazioni sono di riscontro nelle amastie, negli esiti di demolizione oncologica, etc), nel caso utilizzassimo protesi a basso grado di coesività, la forza esterna dei tessuti che ricoprono la protesi le farebbero perdere la forma, e di conseguenza avremmo un risultato estetico meno valido
Un altro fattore da considerare nella scelta della protesi da utilizzare è la sua garanzia.
Nel mercato della chirurgia estetica esistono quelle con “garanzia” e “senza garanzia”, ma a questo punto bisogna fare una precisazione importante: il corpo umano non si basa su regole matematiche, per tanto non è possibile evitare, a prescindere, problematiche come la contrattura capsulare (quello che volgarmente è chiamato rigetto). La garanzia di cui vi parlavo è quella che danno alcune marche per ciò che concerne la rottura spontanea (ovvero la rottura senza cause apparenti) delle stesse, o sopratutto la garanzia che la protesi, una volta inserita, dovrà semplicemente essere controllata nel tempo e non obbligatoriamente sostituita dopo 8-10 anni.
Ad oggi infatti, se la protesi viene detta “garantita a vita” si intende una condizione in cui, controllo dopo controllo, non vengono identificate problematiche che ne giustifichino la sostituzione (non tutte le aziende danno queste raccomandazioni, molte attualmente indicano ancora la necessità di sostituirle dopo un variabile lasso di tempo); naturalmente queste ultime aziende che “garantiscono a vita le protesi” le propongono, giustamente a mio avviso, a prezzi decisamente più elevati (dopotutto eseguire ogni 8 anni un intervento determinerebbero sicuramente una spesa cumulativa molto più alta!) .
Arrivando all’esterno delle nostre protesi, anche la composizione dell’involucro può essere molto variabile, attualmente possiamo distinguere due tipi di involucri: le testurizzate e le lisce. Le protesi lisce hanno una superficie senza irregolarità, quindi hanno un basso rischio di colonizzazione batterica, ma dall’altro lato possono essere solo tonde, in quanto la possibilità di rotazione è altissima (se ruota una protesi tonda lungo il suo asse maggiore non cambia la forma del seno, se ruota un’anatomica ci sono problemi!); ad ogni modo quelle lisce sembrano essere maggiormente associate alla contrattura capsulare (il rigetto), in quanto non essendoci una superficie irregolare, le fibre di tessuto che fisiologicamente circondano la protesi inserita possono dar luogo ad una capsula dura che deforma la stessa (ed ecco comparire il rigetto).
Nel panorama delle protesi testurizzate, ovvero di quelle che presentano una sorta di zigrinatura in superficie, esistono diversi gradi di testurizzazione (macro e micro), questi “dentini” presenti sulla superficie delle stesse servono per “guidare” la formazione di queste fibre che andranno a costituire una capsula fisiologica che “non dovrebbe costringere e deformare” la protesi stessa. Ad oggi è ancora aperta la disputa sul tipo di testurizzazione migliore.
Ad onor del vero, però, negli ultimi anni è aumentato l’utilizzo delle protesi con superficie in poliuretano; il poliuretano è un materiale che sembra non dar luogo alla contrattura capsulare, naturalmente chiunque può pensare “perchè non utilizzare queste?!?”. Il problema fondamentale è legato ad una scarsa conoscenza di questo tipo di superficie, in commercio da diverso tempo ma ben pochi sono i casi effettuati (paragonandoli alle altre superfici protesiche), per tanto è prudente attendere qualche altro decennio per capire se il poliuretano abbia o meno interazioni “strane” con il nostro organismo; sebbene in casi di contratture multiple l’unica scelta rimane optare per protesi in poliuretano
Non per ultimo, nella scelta della protesi da utilizzare è importante anche valutare la quantità di studi scientifici effettuati e da quanto tempo l’azienda è sul mercato; ricordate ad esempio il Macrolane? Il filler per il seno che doveva soppiantare l’uso delle protesi? Beh, dopo pochi anni dal suo utilizzo improvvisamente le sue indicazioni sono cambiate, ovvero non può più essere usato nel seno a causa dei falsi positivi riscontrati nello screening del tumore al seno. Ciò deve far riflettere sull’importanza di una storia alle spalle, maggiore sarà il numero di anni che quell’azienda lavora nel campo maggiore saranno state le modifiche effettuate per evitare le problematiche registrate nel tempo!
Se vuoi saperne di più sulle protesi della mastoplastica additiva vieni a trovarci a Napoli c/o Viale Maria Cristina di Savoia, 26 (Villa Germana-Clinica Ruesch), 80122, dove opera il Prof. Raffaele Rauso, oppure puoi contattarci al numero di telefono: 340.70.41.839